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Il fiume Sile in età romana: problemi e prospettive di ricerca di Luciano Bosio - Direttore dell'Istituto di archeologia dell'Università dl Padova

La prima testimonianza dell'esistenza di un territorio gravitante attorno a Treviso ci viene da Plinio (1), là dove dice che il fluvius Silis (2) discende ex montibus tarvisanis (3). L'etnico tarvisani (4) richiama qui la Tarvisium romana, la cui condizione giuridica di municipium è espressamente denunciata dall'iscrizione mun(icipi) Tarvisini, ritenuta falsa nel 1700 ma dichiarata poi autentica dal Mommsen (5).
L'accenno di Plinio al fluvius Silis, che nascerebbe da quei monti che egli chiama tarvisani, nel mentre afferma l'esistenza di un agro appartenente all'antica Tarvisium, viene anche a sollevare il problema dell'antico corso di questo fiume, che condizionerà la scelta del luogo sul quale poi si svilupperà la futura città. Infatti il Sile, contro l'indicazione di Plinio che lo fa derivare ex montibus, nasce in piena pianura, a Casacorba nel Comune di Vedelago, in una zona caratterizzata da molti fontanili, a 17 chilometri circa ad occidente di Treviso.
E' dunque errata l'indicazione pliniana o la situazione idrografica antica era diversa da quella attuale?
Secondo alcuni studiosi (6), la frase di Plinio potrebbe spiegarsi con la presenza di un ramo del Piave che, ancora in epoca romana, scendeva per la stretta di Cornuda fino verso la località di Morgano per congiungersi con il Sile, alimentandone il corso e continuando poi con quest'ultimo verso il mare. Ciò verrebbe anche chiarito da due marcatissime conoidi di deiezione, una ad occidente e l'altra ad oriente del Montello, che starebbero ad indicare una divisione delle acque del Piave, e dagli spessi strati di ghiaia, che i geologi indicano del Piave, presenti nella zona fra il Montello e il Sile, da Montebelluna fino a Morgano (7).
Secondo altri studiosi (8), il Piave in epoca romana aveva già da tempo abbandonato il ramo per la stretta di Cornuda ed arrivava in pianura con un corso unico. Qui disperdeva le sue acque, portandosi con un grosso ramo, proveniente da Nervesa, ad alimentare il Sile all'altezza di Treviso. In tal modo il Piave continuava il suo corso in quello del Sile, e questo poteva spiegare anche la precisazione di Plinio circa l'origine del Sile stesso. Questa antica situazione idrografica poteva essere chiarita dallo stesso alveo del Sile, che è ghiaioso pur non trascinando mai nel suo corso ghiaia e ciottoli, e dalla profondità del fiume nel suo tratto medio e inferiore. Per tali ragioni, l'Averone (9) ritiene che il Sile, dopo Treviso, scorra in un alveo che non poté certo scavarsi e formarsi in nessun tempo, con la sua corrente sempre costante, che non trabocca mai per piogge alpine, che non trasporta ciottoli e ghiaia.
In questo modo ed in tutti i due casi prospettati si spiegherebbe la frase di Plinio, che fa derivare il Silis ex montibus tarvisanis ed anche il completo silenzio delle fonti classiche sulla presenza del Piave (10), il quale in epoca romana, portando la maggior parte delle sue acque nel Sile e finendo poi per disperdere il suo corso sia ancora verso questo fiume, sia nel corso del Livenza, era privo così di una foce autonoma. Il Sile, invece, alimentato dalle acque del Piave, usciva in mare all'altezza di Altino, che sorse appunto come scalo fluviale sul Sile - Piave, in diretto rapporto con la vicinissima laguna.
Tale situazione idrografica sarebbe poi mutata nell'alto Medioevo in relazione all'alluvione del 589, ricordata da Paolo Diacono (11); allora il Piave, abbandonato il ramo occidentale, avrebbe definitivamente scelto il suo attuale corso (12), staccandosi dal Sile.
Le opinioni degli studiosi che abbiamo qui ricordato, sia quella sulla doppia diramazione del Piave sia quella sul ramo da Nervesa a Treviso, vengono però a sollevare alcune perplessità ed a proporre dei seri interrogativi.
Non c'è dubbio che nei tempi antichi un ramo del Piave sia uscito dalla stretta di Cornuda per unirsi al Sile ad occidente di Treviso. Ma quando avvenne questo? Possiamo con sicurezza parlare di età storica e più precisamente romana?
Il territorio a nord di Treviso conserva ancora, ben rilevabile sul terreno, la traccia del percorso della via Postumia, che va a morire sulla sponda sinistra del Piave all'altezza della località di Ronchi, per poi riprendere sulla destra di questo fiume fino ad Oderzo. È questa una traccia che corre rettilinea e continua dal Brenta al Piave; né è possibile rilevare lungo tutto questo percorso l'esistenza di una frattura provocata dal corso di un fiume o la presenza di qualche segno che venga a giustificare la situazione idrografica prospettata. Ora, la costruzione della via Postumia risale al 148 a.C. (13) e pertanto il suo percorso in questi luoghi, in base alle tracce esistenti, mette in seria discussione l'opinione di quanti ritengono che un grosso ramo del Piave sia sceso in epoca romana dalla stretta di Cornuda. Potrebbe confermare la non esistenza di questo corso fluviale in epoca romana anche il disegno centuriato che in questa età viene ad occupare l'«Alta Trevigiana» e che confina ad occidente con il reticolato agrario di Acelum ('^). Infatti le tracce di queste due opere agrarie, che ancor oggi permettono di definire la linea di confine fra gli agri di Acelum e di Tarvisium, rendono assai problematica qui la presenza di un grosso corso d'acqua che, trattandosi del Piave e del suo carattere torrentizio, doveva allargarsi fra le maglie delle centurie a causa del suo regime soggetto a colmate e a torbide. Per queste ragioni ritengo che sia difficile parlare per l'epoca romana di un ramo occidentale del Piave proveniente dalla stretta di Cornuda; sono anzi del parere che per quanto riguarda il Sile ad occidente di Treviso e per il territorio a nord di questo fiume si può pensare per questa età ad una situazione idrografica molto simile a quella attuale.
Guardando poi al supposto ramo del Piave che, secondo altri studiosi, scendeva ad oriente del Montello e da Nervesa raggiungeva Treviso, anche in questo caso lo stesso percorso continuo della Postumia e le tracce ancora esistenti del disegno centuriato, che proseguono a nord est della città, portano a scartare una simile ipotesi fluviale per l'età romana, pur nella convinzione che una tale situazione si sia verificata, ma in tempi molto più lontani.
È certo comunque che Altinum aveva rapporti diretti con il Piave, e questo può essere dimostrato anche da una iscrizione (15), scoperta a Feltre. Questa porta la dedica del collegium fabrorum di Altino al suo patrono, C. Firmio Rufino della tribù Menenia, il quale era anche patrono dei collegia fabrorum centonariorum dendrophororum di Feltre e di Berua. Rufino era pertanto patrono sia dei dendrophori di Feltre e Berua, cioè dei fornitori di legname, sia dei fabri di Altino, cioè di coloro che lavoravano questo legname, ed era residente a Feltre, municipium iscritto alla tribù Menenia, che, come giustamente osserva l'Anti (16), veniva a trovarsi a metà strada fra il Cadore, centro di. produzione, ed Altino, luogo di lavorazione, sulla via d'acqua, il Piave, attraverso il quale doveva avvenire la fluitazione del legname dalla montagna al mare.
In base a tutte queste considerazioni, sono dell'opinione che il Piave, che già in età romana usciva in piano con un unico corso, abbia poi disperso le sue acque a sud del tracciato della via Postumia (17), portandosi con un ramo ad alimentare il Sile poco prima di Altino. E lo sviluppo di questo ramo potrebbe essere suggerito dall'attuale corso del Musestre che da Breda di Piave scende per Spercenigo, Biancade, Roncade a Quarto d'Altino, dove termina nel Sile (18). Lungo questa linea è possibile ancora ritrovare la traccia di un antico grosso corso fluviale, in due strade che scendono parallele e serpeggianti da Biancade fino a sud di Roncade.
Il punto d'unione delle acque del Piave con quelle del Sile, nel luogo da noi indicato, potrebbe anche spiegare la presenza della località di Quarto d'Altino, ad quartum lapidem, sulla via Claudia Augusta, che qui veniva ad incontrare i due fiumi (19), e quindi l'importanza logistica e la necessità di questa posta stradale (20).
In tal modo possiamo parlare del Sile - Piave ad Altino (21) e questo non contrasta con quanto scrive Plinio, il quale ricorda il Sile e non il Piave perché quest'ultimo fiume non aveva una foce propria in mare ma versava parte delle sue acque nel primo. Egli parla del Silis nascente dai monti e questa precisazione può essere spiegata con il ramo del Piave che, fluendo nel Sile, scendeva dai rilievi montuosi della Venetia, compresi nel territorio di Tarvisium. Ci si può domandare però se ci sia qualche altro motivo per cui Plinio ha ricordato il Sile e non il Piave, visto che le acque dei due fiumi andavano allora a sfociare insieme in laguna. Penso che a questa domanda si possa rispondere tenendo presente la maggior importanza che aveva in quel tempo il Sile rispetto al Piave, in contrasto con quanto noi oggi possiamo pensare guardando questi due corsi d'acqua. Infatti, risalendo il Sile, facilmente navigabile, si incontrava Tarvisium e ciò rendeva questo fiume una via di comunicazione di rilevante interesse fra lo scalo portuale di Altinum, in collegamento con il mare Adriatico, e il maggior centro della pianura a nord della laguna veneta. Da qui la sua notorietà rispetto al vicino e maggiore Piave che, anche per il suo carattere torrentizio, non aveva visto sorgere sulle sue rive uno scalo fluviale di un qualche interesse.
L'importanza perciò del Sile rispetto al Piave non è vista dagli antichi in termini geofisici ma in base ad una precisa situazione storica e questo particolare modo di giudicare le cose si può ritrovare nella stessa Venetia per l'Isonzo e il Vipacco. Quest'ultimo corso d'acqua, il Frigidus degli antichi, è un affluente dell'Isonzo (Aesontius), un fiume ben maggiore del primo e dalla considerevole portata. Eppure la Tabula Peutingeriana (22) disegna il corso Isonzo - Vipacco indicandolo come Frigidus (FI(uvius) Frgid'.) per il rilievo che aveva allora l'affluente rispetto al fiume recipiente. Infatti lungo il corso del Vipacco si stendeva la grande strada che portava da Aquileia a Iulia Emona (Lubiana) ed ai paesi della Pannonia (23). Da qui l'importanza che veniva ad avere per i Romani l'affluente rispetto all'Isonzo, importanza che richiama quella del Sile rispetto al Piave.
La condizione idrografica del Sile Piave ci permette anche di comprendere come il Sile sia stato l'elemento determinante per la scelta del luogo sul quale poi si svilupperà la Tarvisium romana. Attraverso questo corso d'acqua navigabile la città aveva la possibilità di affacciarsi sulla laguna veneta e il mare, collegandosi direttamente con l'importante scalo portuale di Altinum. E questo rapporto diretto Tarvisium - Altinum è da considerare e da approfondire con la massima attenzione, in quanto fertile di interessanti ed anche nuovi sviluppi storici: Altino infatti, attraverso il facile e costante corso del Sile, poteva offrire a Treviso i prodotti del mare, del commercio e dell'industria, ed anche la voce di più lontane terre; a sua volta Treviso diventava, grazie al suo fiume, il centro di raccolta e di traffico dei prodotti del territorio circostante verso la costa.
Viste così le cose, sono dell'avviso che le fortune di Tarvisium sono stretta mente legale a quelle di Altinum (come lo saranno poi con Venezia) e che la fioritura di questo porto permette di capire meglio il corrispondente fiorire di Treviso e del suo agro, quali spazi commerciali alle spalle dello scalo sull'Adriatico. Ed è proprio il corso del Sile e non le grandi strade di comunicazione, stese dai Romani nella Venetia centrale, a condizionare il sorgere e lo sviluppo di Tarvisium. Infatti la via Postumia fu condotta a settentrione di questo centro; né interessò direttamente Treviso la meridionale via Annia, stesa ad unire Adria ad Aquileia attraverso Padova ed Altino (24). E neppure il tracciato della via Claudia Augusta, che collegava Altino al Danubio (25), toccava Treviso, il quale venne così a trovarsi in una posizione decentrata rispetto alle grandi vie che attraversavano il suo territorio. Potrebbe sembrare inspiegabile questa sua collocazione nel contesto della maggiore viabilità della Venetia centrale se non si pensasse al Sile, che fu veramente la strada maestra della città e l'asse portante delle sue intraprese e dei suoi interessi. Mi sembrano perciò oltremodo importanti le ricerche che ora (1978) il Centro Studi Sile di Treviso ha intrapreso su questo fiume. Ricostruire il volto storico del Sile, come si è andato formando e sviluppando nel tempo, significa, a parer mio, anche capire la dimensione urbana acquistata da Treviso, quale centro direzionale del territorio che già gli antichi chiamavano tarvisanus.
E non a caso Plinio collega i montes tarvisani al fluvius Silis.

Luciano Bosio

1) PLIN., Nat. Hist., 111, 126.

2) II termine Silis potrebbe derivare dal prelatino Sila, canale: G.B. PELLEGRINI - A.L. PROSDOCIMI, La lingua venetica, I, Padova 1967, p. 401.

3) Subito dopo, Plinio (Nat. Hist., 111, 126) si ripete per Opitergium, quando avverte che il lumen Liquentia discende ex montibus opiterginis.

4) L'etnico tarvisani ricorre ancora in Plinio (Nat. Hist., 111, 130) e in un'iscrizione ritrovata a Fonte, presso Crespano del Grappa (CIL, V, 2094: T(ilus) Firmius Quinti) f(ilius) tarvisanus). II nome ritorna nella forma tarvisianus (con le varianti terrisinus, tarvisinus, tarvisiensis, tarbisianus) in un'iscrizione di Aquileia (CIL, V, 1593), in Cassiodoro (Var., X, 27: ex tarvisiano (tervisino, tarvisino) et tridentino horreis) e in Paolo Diacono (Hist. Lang., II, 13: tarvisianis (tarvisiensibus); VI, 45: tarvisianae (tarvisanae, tarbisianae) ecclesiae). In una iscrizione di Milano (CIL, V, 6281) appare la forma corrotta tarrísianus.

5) CIG, V, 2109. Su questo municipium: W. KUBITSCHEK, Imperium Romanum tributim discriptum, Vindobonae 1889, p. (14; M. FLUSS, Tarvisium, «R.E.», IV A, 2, 1932, c. 2452 s.

6) H. KIEPERT, Formae Orbis Antiqui, Berlin 1902, Tav. XXIII, 2; 11. PHILIPP, Silis, «R.E.», III A, 1927, c. 68, I; M. BARATTA - P. FRACCARO, Atlante Storico, I, Novara 1966 (n.e.) Tav. 16.

7) A.A. MICHIELI, Storia di Treviso, Firenze 1938, p. 3.

8) Di questo parere è il Filiasi (J. FILIASI, Memorie storiche dei Veneti primi e secondi, Padova 181 1, t. I, p. 339; t. III, p. 173), al quale si sono rifatti molti studiosi successivi. Fra gli altri:: Commissione per la topografia della Venezia in età romana, Da Altino al Livenza, «Archivio Veneto», XXVI, 1883, p. 245; A. AVERONE, Sull'antica idrografia veneta, Mantova 1911, p. 123; G. PAVANELLO, La laguna di Venezia, «Commissione per l'esplorazione scientifica del Mediterraneo», voi. II, parte III, tomo VI, Venezia 1935, p. 35; E. MIGLIORINI, Il Veneto, IV, Torino 1962, p. 132; A.A. MICHIELI, Il Piave, Belluno 1966, pp. 13 e 21. Secondo lo Zanettini (Del fiume Piare. Memoria, Feltre 1866, p. 4) il Piave con ogni probabilità sboccava nel Sile seguendo il corso dell'attuale Melma.

9) A. AVERONE, Sull'antica idrografia veneta, cit., p. 111.

10) II primo che ricorda il Piave è Venanzio Fortunato (Praef., 1. I Carminum, 4: Praesertint quod ego, de Ravenna progrediens, Padum, Atesim, Brintam, Plavem.). Ritroviamo questo fiume nell'Anonimo Ravennate (IV, 12: Plavis) e in Paolo Diacono (Hist. Lang., II, 12). L'idronimo Plavis sarebbe un derivato della radice ie. plow, scorrere: G.B. PELLEGRINI - A. L. PROSDOCIMI, La lingua venefica, I, cif., p. 401.

11) PAUL. DIAC., Hist. Lang, III, 23.

12) Così pensano: A. AVERONE, Sull'antica idrografia veneta, cif. p. 123; G. PAVANELLO, La laguna di Venezia, cit., p. 50; G.G. ZILLE, L'ambiente naturale, «Storia di Venezia», I, Venezia 1957, p. 31; E. MIGLIORINI, Il Veneto, cit., p. 106; A.A. MICHIELI, Il Piave, cif., p. 24. Per il Cessi invece la data deve essere spostata verso il X - XI secolo (R. CESSI, Evoluzione storica del problema lagunare, «Atti del Convegno per la conservazione e difesa della laguna e della città di Venezia», Venezia 1960, p. 29: «La presunzione che il nubifragio del 589 abbia prodotto un profondo mutamento idrografico e idraulico nel settore settentrionale, è arbitraria e non confortata da elementi probativi»).

13) Sulla via Postumia attraverso il territorio di Treviso e sulla sua data di costruzione: P. FRACCARO, La ria Postumia nella Venezia, «Opuscula», Pavia 1957, I, p. 216 ss.; II, Tav. XL; L. BOSIO, Itinerari e strade della Venetia romana, Padova 1970, p. 35 ss.

14) F. G. PILLA, Nota preliminare sul rilevamento della centuriazione trevigiana, «Atti Ist. Ven. SS.LL.AA.», CXXIV, 1965-66, p. 405 ss.

15) CIL, V, 2071.

16) C. ANTI, Altino e il commercio del legname con il Cadore, «Atti Ist. Ven. SS.LL.AA». Convegno per il retroterra veneziano, Venezia 1956, p. 21. Sullo stesso argomento: L. BOSIO, I problemi portuali della frangia lagunare veneta nell'antichità, «Venetia I», Padova 1967, p. 87.

17) Sulla dispersione delle acque del Piave anche L. BOSIO, i problemi portuali della frangia lagunare veneta nell'antichità, cit., p. 86: «Tale situazione idrografica trova la sua conferma in alcuni letti antichi esistenti a destra e a sinistra dell'attuale corso del Piave, i quali richiamano le antiche diramazioni con i toponimi «il Piavon» e la «Piavicella».

18) Pensa all'unione del Piave con il Sile presso Altino anche il Musoni (F. MUSONI, II bacino plavense, saggio di geografia fisica e di antropogeografia, Padova 1904).

19) II tracciato iniziale della via Claudia Augusta è ancora ben rilevabile sulle carte topografiche in un lungo rettifilo che, partendo dalla zona di Altino, si dirige a nord. Si interrompe all'altezza di Quarto d'Altino, dove il Musestre sfocia nel Sile, ma riprende poi, sempre rettilineo, oltre quest'ultimo fiume, su questo percorso: A. DE BON, Rilievi di campagna, La via Claudia Augusta Altinate, «Ist. Ven. SS.LL.AA.», Venezia 1938, p. 13 ss.; M. LACCHINI, Il territorio di Altinum. Confini, configurazioni geografiche e centuriazione, «Centro Studi e Documentazioni sull'Italia Romana», Atti IV, 1972-73, p. 220 ss.
Il De Bon (op. cit., p. 21) precisa che in questo punto, all'incontro del Musestre con il Sile, la presenza di cumuli di blocchi di pietra, rilevati nel letto del Sile, vengono ad indicare l'esistenza. di un grande ponte sulla Claudia Augusta. Questo permette di chiarire ancor meglio la necessità e l'importanza di una posta stradale in questo luogo.

20) Secondo il De Bon (op. cit., p. 21), a Quarto d'Altino dalla Claudia Augusta si staccava una via che, costeggiando la sponda destra del Sile, raggiungeva Treviso. Si potrebbe anche pensare, data l'epoca di costruzione della via Claudia Augusta e la logica esistenza di un precedente percorso stradale Altinum Tarvisium, che questo primo tratto da Altino al Sile all'inizio abbia fatto parte di questa strada e che solo in un secondo tempo su di esso si sia innestato il tracciato della Claudia Augusta a nord del Sile. Per quanto riguarda il quarto miglio, indicato dal nome della località, questa distanza non si può spiegare da Altino, che dista da Quarto circa 4 chilometri, cioè 3 miglia. E' da pensare che queste 4 miglia siano invece da calcolare a partire dallo scalo portuale, che doveva trovarsi un miglio più a sud, presso la località Montione. Però il De Bon (op. cit., p. 17) non è riuscito a trovare le tracce di una strada, che pur doveva esistere, fra Altino, il Montirone e la palude di Cona, sulla laguna veneta.

21) L'identità Sile - Piave presso Altino si ritrova anche nella documentazione medioevale. In un diploma di Ottone III del 996 è ricordata la località di S. Michele in Quarto in Sile seu in fluvio Plave (M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, Tomo Il, Pars II, Hannover 1893, n. 192, p. 5-6:... concedimus ei (il Doge Pietro) in Sancto Michaele qui dicitur Quartus sive in Sile seu in Pluvio Plave dicto...).

22) Tabula Peuntingeriana (Codex Vindobonensis 324), Segmentum III, 5 (ed. E. Weber, 1976).

23) Sul problema dell'Isonzo - Vipacco nell'antichità classica e sulla via Aquileia - Iulia Emona: L. BOSIO, La Venetia orientale nella descrizione della Tabula Peutingeriana, «Aquileia Nostra», XLIV, 1973, c. 45 ss.

24) Su questa via e sul suo itinerario: L. BOSIO, Itinerari e strade della Venetia romana, cit., p. 53 ss.

25) Su questa via e sul suo itinerario: L. BOSIO, Itinerari e strade della Venetia romana, cit., p. 129 ss.
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